18°/La calunnia – Herbert Kappler, una fuga di Stato

Herbert Kappler, il boia delle Fosse Ardeatine

“Il segreto porta assuefazione”, ha dichiarato il già agente segreto britannico John Le Carrè: l’abitudine al segreto, la tranquillità di poter ricorrere alla secretazione per evitare indagini e fastidi, fa perdere il senso del limite e il rapporto etico con la verità, fino a dimenticare le ragioni stesse della segretezza, con il rischio che questa possa operare come un “principio di tirannia”, come suggeriva lo scrittore statunitense Robert Heinlein.

Si avvicina l’anniversario della fuga di Stato della iena nazista Herbert Kappler avvenuta il 15 agosto del 1977 e metto, volutamente, queste frasi ad esordio della puntata odierna particolarmente complessa. Le pagine che seguono sono tutte dedicate alla necessità che il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano metta in atto ciò che da mesi annuncia ma di fatto, per mille motivi non fa: “aprire gli armadi” prima che il suo settennato cessi e che perda perciò il potere che oggi gli è costituzionalmente conferito. Il Presidente della Repubblica è il capo delle Forze Armate ed è ora che agisca da tale. A mio giudizio deve dare ordini e, chi di dovere, non potrà non ubbidire. Con onore e con pieno appoggio popolare.
Torniamo a Ipazietta come, con tenerezza protettiva, per anni l’ho potuta chiamare.

In data non sospetta veniva redatto il testo che segue e pubblicato nel sito di Ipazia Preveggenza Tecnologica:
“Il diritto all’informazione, soggettivo e sociale, è uno dei diritti fondamentali della Costituzione italiana, della libertà e della democrazia. Ogni azione intrapresa dallo Stato per difendere l’integrità della Repubblica, le Istituzioni previste dalla Costituzione e l’indipendenza dello Stato stesso, compresa la secretazione di fatti, documenti e testimonianze, così come previsto anche dal decreto del Presidente del Consiglio del 16 aprile 2008, non può che trovare nelle finalità indicate, e primariamente nella Carta Costituzionale, il proprio limite applicativo.
Il Segreto di Stato deve soddisfare i requisiti esclusivi di tutela della democrazia, e quindi, non può essere utilizzato in modo estensivo arbitrario, tale da ledere il diritto fondamentale all’informazione dei cittadini. A distanza di oltre trent’anni, nessun fatto, documento o testimonianza può essere legittimamente ritenuto pericoloso per la stabilità di una democrazia, al punto da indurre a violare un diritto basilare della democrazia stessa, qual è appunto, il diritto all’informazione, con il quale il diritto alla sicurezza può entrare in concorrenza soltanto per un periodo eccezionale, in cui il pericolo è attuale, senza altrimenti rischiare di trasformarsi in un abuso, un intralcio alla giustizia e una censura. Il Segreto di Stato, insomma, deve essere una condizione assolutamente straordinaria, limitata ad eventi di effettiva gravità per la sicurezza della Repubblica, nell’interesse esclusivo dei cittadini italiani. Non può essere esercitato come una sorta di rivendicazione di “alegalità”, di sottrazione al controllo del proprio operato per gli organi dello Stato, questa sì pericolosa per la Repubblica e per la democrazia.

Nel luglio 1994, di fronte all’Assemblea del Senato, il ministro dell’Interno Roberto Maroni riconosceva come vi fossero “comportamenti all’interno dei Servizi non in linea con quanto previsto dalla legge” ed “estranei all’attività istituzionale dei Servizi”. Gli ultimi quarant’anni della storia repubblicana italiana, e non soltanto italiana, invitano alla prudenza e alla limitazione estrema del ricorso al Segreto di Stato, il cui utilizzo è servito pure a depistare indagini giudiziarie, coprire poteri occulti e favorire interesse e profitti di parte. Libero Mancuso, pubblico ministero per i depistaggi relativi alla strage di Bologna e al caso Italicus, ha denunciato, per esempio, le collusioni tra i vertici militari italiani, la loggia P2 e il terrorismo.
La legge 124 del 2007 fissa in 15 anni, prorogabili a 30, il limite temporale per il Segreto di Stato.
Un limite già anche troppo esteso, che deve essere assolutamente rispettato, per la difesa della Legge, della Costituzione, della Democrazia. La stessa legge stabilisce anche limiti oggettivi per la secretazione, per informazioni relative a fatti eversivi dell’ordine costituzionale, terrorismo, delitti di strage, associazione a delinquere di stampo mafioso, scambio elettorale di stampo politico-mafioso.

Gli italiani hanno il diritto di conoscere, finalmente, la verità sulle stragi di Piazza Fontana e Piazza della Loggia, di Bologna, di Ustica, per quel che gli organi di informazione e di prevenzione conoscono e hanno accertato su questi eventi che hanno scosso e segnato indelebilmente la vita del nostro Paese, marchiando di sangue innocente quanto inconsapevole la memoria collettiva. Scostare il velo nero dell’omissis sui tragici eventi della storia italiana è un atto dovuto, sul piano giuridico ed etico-civile, nonché una scelta obbligata per riabilitare l’autorità dello Stato e restituire fiducia nella politica presso i cittadini. Negare questo diritto, nel procrastinarlo oltremisura, costituirebbe una violazione della Costituzione, un attentato alla certezza della legge e una ferita inquietante all’assetto democratico della Repubblica italiana, già fragile per i troppi misteri che rendono impraticabile una chiara e autentica descrizione storica.

Si tratterebbe, peraltro, di una grave ingenuità da parte dei responsabili dell’amministrazione pubblica e, quindi, di una debolezza, malcelata in un esercizio di forza. La “tempesta Wikileaks”, di queste ore, con la pubblicazione in rete di oltre 2000 documenti riservati del Dipartimento di Stato americano, delle ambasciate statunitensi nel mondo, rivela come, nel tempo di Internet, niente può restare segreto. È preferibile, allora, che lo Stato porti a conoscenza diretta i propri cittadini delle informazioni che riguardano la vita civile, piuttosto che queste circolino in modo selvaggio e caotico, quando non strumentale e opportunistico, causando confusione, interpretazioni errate, equivoci e ambiguità, fino anche ad alimentare panico e perfino forze eversive, sì pericolose per la sicurezza nazionale.

Il segreto è di per sé un rischio. Per essere mantenuto impone comportamenti anomali e scelte soggettive, spesso ai limiti della legalità e al di sopra delle regole, rendendo difficile l’individuazione e, soprattutto, la punizione di chi ne faccia un uso distorto. La verità è un pericolo soltanto per chi ha qualcosa da nascondere. Per gli istituti di Intelligence è la sola via percorribile per ritrovare credibilità e autorevolezza presso i cittadini, in difesa della Repubblica, al cui servizio esclusivo sono chiamati ad operare, con professionalità e onestà, nella legalità e, quindi, nella possibilità di controllo e nel dovere di rendere conto del proprio agire.”

Come vedi, lurido e silente infangatore, nonostante l’ostracismo professionale che mi ha colpito dopo il tuo attacco proditorio, ho ancora la forza di dire e scrivere quello che penso e quello per cui ho sacrificato tutta la mia vita più quella delle persone a me vicine e da me amate. Come vedi ricordi, anniversari, documenti riscontrabili sono gli strumenti strategici del mio agire.

Colgo così l’occasione dell’anniversario della Fuga di Stato per cominciare a dire la mia sulla Germania e sulla fase geopolitica e finanziaria che ci prepariamo a vivere. Dico “ci prepariamo” perché, come da anni penso e annuncio, “il peggio deve ancora venire”.

Caro perfido Amalek, quando cercavo il movente del tuo agire contro Ipazia Preveggenza Tecnologica ho pensato che tu avessi avuto in odio particolare il fatto che in Ipazia PT fossimo non solo culturalmente contro tutti i fondamentalismi ma, in particolare, nemici dei bruciatori di libri e, quindi, delle Internazionali Nere sotto qualunque forma si stessero riorganizzando per prima bruciare i libri e poi gli uomini. Ho pensato che ti fossi deciso a colpirmi/ci quando per la web tv Ipazia ideammo la rubrica “Fare luce su” offrendola, come spazio libero, a Stefania Limiti, autrice, tra l’altro, di un riuscitissimo libro (l’Anello della Repubblica) dedicato al mondo del Noto Servizio e al suo presunto referente politico Giulio Andreotti.

Stefania Limiti è stata intervistata a cura della redazione di Ipazia web tv sulla Fuga di Stato della iena Kappler perché le donne e uomini di Ipazia ritenevano che quell’episodio sarebbe tornato di grande attualità.
Ho scritto “attualità” non solo perché la fuga di Kappler avvenne in agosto e con un gran caldo (era il 15 agosto del 1977) ma perché, in quelle giornate torride l’autosufficienza finanziaria del nostro paese era strettamente legata ai poteri del mondo bancario tedesco.

Perché mi dilungo così su questi ricordi e su questo episodio?
Perché la fuga di Kappler, oltre ad essere ciò che è stata, ci riporta alla strage delle Fosse Ardeatine e a quanto noi di Ipazia Preveggenza Tecnologica abbiamo voluto, non casualmente, mettere alla base della data scelta per il convegno “Lo Stato Intelligente. I finanziamenti europei per l’innovazione e per la sicurezza” tenutosi, come sai perfido amico dei nazisti, il 23 marzo 2012 e di cui puoi leggere il documento che è alla base della nostra decisione:

“23 marzo, una data scelta non a caso.
Il 23 marzo 1944, a seguito di un attentato in via Rasella, a Roma, nel quale morivano 32 soldati dell’esercito tedesco, prendeva il via una rappresaglia che avrebbe portato all’uccisione di 335 italiani, tra civili e militari, dei quali 75 di religione ebraica.
Tra tutte le vite che interruppero il loro corso, abbiamo scelto di mettere a fuoco quella del Tenente colonnello dei Carabineri Reali Manfredi Talamo (nato a Castellammare di Stabia, il 2 gennaio 1895, fucilato alle Fosse Ardeatine, a Roma, il 24 marzo 1944), Medaglia d’Oro al valor militare alla memoria.
Così si legge in una nota dell’A.N.P.I: Nel giugno del 1938, l’ufficiale dei CC era stato assegnato al SIM (Servizio informazioni militari) e, prima che l’Italia entrasse nella Seconda Guerra mondiale, si era occupato soprattutto della decifrazione di documenti sottratti alle ambasciate straniere (fu coordinata da Talamo la sottrazione del Black Code dall’Ambasciata americana a Roma). Durante la sua attività di controspionaggio, Talamo, nell’estate del 1942, durante un’incursione nell’ambasciata svizzera, scoprì che l’addetto culturale tedesco Kurt Saurer era un doppiogiochista. La scoperta fece andare su tutte le furie il capo del servizio di sicurezza tedesco, l’ufficiale delle SS Herbert Kappler, che pretese dal colonnello Talamo, senza ottenerlo, il più completo riserbo sulla vicenda. Un anno dopo, con l’armistizio, l’ufficiale italiano – fedele al giuramento prestato – entrò nella Resistenza. Lavorò col Fronte militare clandestino guidato dal colonnello Montezemolo, ma il 5 ottobre cadde nelle mani dei tedeschi. Incarcerato e torturato, Talamo non parlò. Così, Kappler, inserendo il nome dell’ufficiale del SIM tra quelli di coloro che sarebbero stati trucidati alle Ardeatine, ebbe modo di consumare la sua vendetta. La decorazione alla memoria di Manfredi Talamo, al quale a Roma è stato intitolato un Largo, recita: “Nell’assolvere delicate rischiose mansioni, eccelleva per rare virtù militari ed impareggiabile senso del dovere, rendendo al Paese, in pace e in guerra, servizi di inestimabile valore. Caduto in sospetto della polizia tedesca che ne ordinava l’arresto, sopportava stoicamente prolungate torture, senza svelare alcun segreto sulle organizzazioni clandestine e sui loro dirigenti. Condotto alla fucilazione, alle Fosse Ardeatine, dava sublime esempio di spirito di sacrificio, di incrollabile fermezza, di alte e pure idealità, santificate dal martirio e dall’olocausto della vita”.

Caro amico dei nazisti e nemico degli eroi dell’Arma dei Carabinieri, a me sembri sempre di più un complice oggettivo di tutti gli approfittatori che, cooptati per pseudo rapporti di fiducia nei servizi segreti italiani, si sono dedicati invece che ai fini istituzionali del servizio in primis all’uso disinvolto della cassa.
Riprendiamo la riflessione su Kappler. Cari lettori immaginate la gravità del comportamento di ufficiali dei Carabinieri che, scientemente, avessero deciso di favorire la fuga della iena Kappler?

Qui si fa chiara la tesi di Stefania Limiti e Aldo Giannuli: l’incarico doveva essere affidato a una struttura/non struttura che, come ormai è provato, si chiamava il Noto Servizio. L’esistenza del Noto Servizio o Anello è “documentata” con il ritrovamento in uffici “coperti” e dimenticati, nel maggio del 1998, dell’appunto anonimo del 4 aprile del 1972 che inizia con le parole “… questa è la storia di un servizio informazioni che opera in Italia dalla fine della Guerra e che è stato creato per volontà dell’ex capo del SIM generale Roatta.”

La Nota riservata così proseguiva: alla fine del 1943, Roatta presentò ad alcuni suoi fidati collaboratori un ufficiale di origine polacca che vestiva la divisa dell’esercito russo e che era giunto al seguito della rappresentanza sovietica presso il governo italiano. Si chiama Otimski e vive a Tel Aviv (cose complicate, stupido e superficiale Amalek. ndr).
Quando Roatta fu arrestato, Otimski prese il comando del servizio che era stato costituito esclusivamente da elementi provenienti dall’esercito, dalla marina e dell’aviazione. Compito del servizio fu sempre quello di ostacolare l’avanzata delle sinistre e di impedire una sostanziale modifica della situazione politica italiana…Negli anni passati, il servizio si è sempre meglio organizzato, anche se i suoi effettivi sono rimasti in numero molto limitato: attualmente sono 164, dei quali una cinquantina abitano in Alta Italia e fanno capo a un costruttore edile, Sigfrido Battaini. Lui dispone di notevoli masse di denaro e tiene il proprio deposito armi, munizioni e automezzi presso la caserma dei carabinieri di via della Moscova. Il servizio dispone anche di un aereo e di un elicottero che sono depositati presso un campo di aviazione in territorio svizzero, a pochi chilometri dal confine italiano. Nel corso degli anni, il servizio ha arruolato alcuni elementi fidati tra i quali ho potuto individuare il noto investigatore Tom Ponzi (adesso cominci a capire cretino infangatore perché molte pagine addietro l’ho citato? ndr), il costruttore edile di Lodi, Lo Risi, l’industriale chimico Boate, l’ex ufficiale pilota, ora morto, Comoni e Adalberto Titta…Tutto fa capo, in Alta Italia, al citato Battaini. A Roma, fa parte del servizio il noto Felice Fulchignoni, ma non sono riuscito a sapere di più, anche se ritengo che del servizio faccia parte un certo Luigi Fortunati, che è uno dei sopravvissuti alla conta prima delle fucilazioni alle Fosse Ardeatine…”.

La nota informativa è redatta dal giornalista del “Corriere della sera” Alberto Grisolia, confidente della divisione Affari riservati del ministero degli Interni con il criptonimo di ‘Giornalista’.”
Che fantasia quei farabutti degli Affari riservati eredi degli archivi dell’Ovra.

Per poter comprendere ulteriormente la gravità dell’episodio delle complicità nella fuga di Kappler bisogna andare con la memoria all’attentato di via Rasella, e ai suoi partecipanti (il comandante Carlo Salinari detto “Spartaco”, Franco Calamandrei (“Cola”), Giulio Cortini (“Cesare”), Laura Garrone Cortini (“Caterina”), Duilio Grigioni, Marisa Musu (“Rosa”), Ernesto Borghesi, Mario Fiorentini (“Giovanni”), Lucia Ottobrini (“Maria”), Carla Capponi (“Elena”), Rosario Bentivegna (“Paolo”), Raoul Falcioni, Silvio Serra, Francesco Curreli, Fernando Vitagliano (“Fernandino”), Pasquale Balsamo e Guglielmo Blasi) e al pensiero ineguagliato di Carla Capponi che nel libro “Con cuore di donna” ci spiega come trovò le ragioni che la portarono a compiere quell’attacco: “Ripensai al bombardamento di San Lorenzo, a quella guerra ingiusta e terribile, alle voci dei bambini del brefotrofio imprigionati dal crollo, allo strazio delle distruzioni che si vedevano ovunque e di cui avevamo notizia ogni giorno; ai nostri compagni fucilati, torturati a via Tasso; a tutti i deportati di cui non avevamo più notizia; ai duemila ebrei nei lager […1. Per tutti coloro che avevano sofferto ed erano morti ingiustamente, che erano ingiustamente perseguitati, per loro dovevo battermi”.

A questi pensieri “sufficienti” voglio aggiungere lo stralcio dell’interrogatorio a Kesserling preso dagli atti del processo Kappler al tribunale militare di Roma:

“D. (Domanda): Faceste qualche appello alla popolazione romana o ai responsabili dell’attentato prima di ordinare la rappresaglia?
K. (Kesselring): Prima no.
D.: Avvisaste la popolazione romana che stavate per ordinare rappresaglie nella proporzione di uno a dieci?
K.: No. […]
D.: Ma voi avreste potuto dire «se la popolazione romana non consegna entro un dato termine il responsabile dell’attentato fucilerò dieci romani per ogni tedesco ucciso»?
K.: Ora, in tempi più tranquilli , […) devo dire che l’idea sarebbe stata molto buona.
D.: Ma non lo faceste?
K.: No, non lo facemmo.

Leggende di propaganda antiresistenziale ed antiebraica vogliono che le autorità tedesche, prima di scatenare la rappresaglia delle Fosse Ardeatine, abbiano diffuso appelli ai responsabili dell’attacco, in particolar modo attraverso manifesti affissi in città, in cui si invitavano i partigiani a costituirsi onde evitare conseguenze per la popolazione civile.

“[…) devo dire che l’idea sarebbe stata molto buona” disse Kesselring ma non lo fece. Né lui, né Kappler.
I manifesti furono affissi ma erano firmati con una frase perentoria: l’ordinanza (di rappresaglia) è già stata eseguita.

Oreste Grani