A Marco Pascolo piaceva usare le mani. L'utilizzo dei piedi era un passatempo e tale doveva restare. La pensava così alla fine degli anni Ottanta quando il calcio in Svizzera non era una cosa seria. Anzi: chi lo considerava tale veniva tacciato di superficialità e di distacco dai valori nazionali. Eppure la Schweizer Fussballnationalmannschaft si preparava a uscire dall'anonimato – una storia che aveva trovato il suo unico acuto in un lontanissimo argento olimpico, datato 1924 – che dopo la mancata partecipazione a Italia '90, l'aveva portata a Usa '94, confrontandosi prima in un girone di qualificazione tosto, che comprendeva Italia, Portogallo Scozia, Malta ed Estonia. Furono gli azzurri quelli maggiormente scottati e sorpresi: nessuno si sarebbe mai immaginato un pareggio e una vittoria da una formazione fatta di fratelli dai tanti cognomi italiani, ma figli di un dio minore del calcio. A Cagliari, nell'ottobre del 1992, fu 2 a 2, con gli azzurri che, subiti due gol, rimontarono per il rotto della cuffia. A Berna, il primo maggio del '93, un gol di Hottiger al 55' decise la partita, con un Dino Baggio espulso dieci minuti prima.
Pascolo ha esordito in Nazionale nel 1992. 57 le presenze totali (Getty)

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A difendere la porta elevetica un ragazzo di un metro e novanta che se il tifo svizzero stava per crollare di gioia, lui dava l'impressione, di spostarsi appena più in là e darsi una scrollata per togliersi i lustrini dalle spalle. "Mi trovo bene dove sono, nel Servette – dichiarò Pascolo nella conferenza stampa pre-gara con l'Italia - Gioco a calcio che è il mio hobby e faccio l'elettricista perché solo di pallone in Svizzera non puoi vivere". Una risposta asciutta, nessuna emozione alla domanda se gli sarebbe piaciuto misurarsi in Serie A. Accanto, quella volta, il suo contenimento strideva con l'ambizione di chi – Ciriaco Sforza - sentiva già una "rivoluzione" in atto e solo l'idea di giocare in Italia lo elettrizzava e non poco. A Pascolo però, piaceva di più usare le mani, per accendere il saldatore a stagno, utilizzare il cercafase e le chiavi. Quelle della porta se le prese subito, con freddezza e senza particolari emozioni. Un'ordinaria dote di famiglia: il padre Armando faceva il meccanico a Sion e per lavorare – anche lui con le mani, appunto - aveva lasciato Venzone, provincia di Udine, per la Svizzera.

"Non mi piacciono i divi, nemmeno nel calcio: in Italia ci sono. Guadagnano troppo da voi, è assurdo: la gente rischia di stufarsi", dichiarò nel 1992, prima di una partita di qualificazione ai Mondiali con l'Italia

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"Sono diventato portiere per stanchezza – ha sempre ammesso Pascolo - non ne potevo più di correre" e di fare ricorso solo ai piedi, magari. Il portiere, classe 1966, che non prendeva troppo seriamente il calcio, scegliendo la porta, divenne professionista nel Sion a vent'anni. Di ruoli prima ne aveva sperimentati diversi nel dopo lavoro. Dal 1989 al 1991 vestì la maglia del Neuchatel Xamax senza mai imporsi veramente, tranne nella seconda stagione nella quale divenne titolare. La svolta fu il trasferimento al Servette. Lì Pascolo divenne una sicurezza tra i pali e si guadagnò così la convocazione in Nazionale per Usa '94 e Inghilterra '96. Tutto però pareva viverlo come un qualcosa che la vita gli mandava in più e si permetteva pure di manifestare una certa superiorità, quasi radical chic, sui calciatori italiani contro i quali si era confrontato nelle qualificazioni mondiali: troppo ricchi, troppo divi. Tuttavia qualcosa nella testa del giocatore doveva essere cambiato quando il Cagliari s'interessò a lui, visto che al club sardo chiese 400 milioni di stipendio annuo. Fu accontentato. Pascolo iniziò la preparazione in uno dei ritiri, quello del '96, più tristi della storia dei rossoblu. La rosa pareva indebolita, la fiducia nel tecnico uruguaiano Gregorio Perez, molto fragile. Infatti dopo sei giornate di campionato, gli subentrò Carlo Mazzone. Lo svizzero giocò da titolare le prime quattordici gare di campionato – subendo 23 reti - e non brillò mai, anche se le colpe personali al tutto restarono limitate alla poca competitività della squadra. Con l'arrivo di Sterchele, non ci fu più spazio per Pascolo, mai convocato se non in occasione della partita col Milan. L'annata difficile si chiuse nel peggiore dei modi con lo spareggio per la permanenza in A, perso contro il Piacenza.

14 presenze con il Cagliari e 23 reti subite (Getty)

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La testa – e le mani – del portiere erano già altrove comunque. Nell'estate del '97 scelse la First Division e la maglia del Nottingham Forest. Una manciata scarsa le presenze inglesi. Il ritorno in Svizzera avvenne nel '98 a Zurigo. Poi Pascolo chiuse la carriera nel Servette che lo aveva fatto diventare grande nel 2003.

Il ruolo di portiere è sempre stata una vocazione alla fine, ecco perchè nel 2008 divenne allenatore degli estremi difensori del Sion, per poi dare un grande contributo a quelli della Nazionale Under 21. La Rsi.ch (la RadioTelevisione svizzera) un anno fa lo definì "Le mani d'oro del calcio rossocrociato" per rendere onore al lavoro fatto co i ragazzi e i giovani. In un'intervista rilasciata all'emittente, l'ex Cagliari precisò l'urgenza di rivalutare il ruolo più solitario del gioco del calcio: "Va cambiato il punto di vista – dichiarò – Vedo molti genitori che non vogliono il figlio in porta perchè chi indossa i guanti è quello che viene costantemente ripreso dall'allenatore, quello che si fa insultare dai compagni... Bisogna cambiare questa immagine: è un ruolo fantastico, di grandi responsabilità e si usano mani e piedi". Le mani, soprattutto le mani.

Fonti:

L'Unità
La Repubblica
Il Corriere della Sera
Youtube
Rsi.ch

Hanno giocato venti minuti in una nebbiosa trasferta a Bergamo di cui nessuno si ricorda. Hanno fatto gol alla Cremonese tanti anni fa, ma poi, a ripensarci bene, forse era stato qualcun altro. Sono VIP (Very Improbable Players), giocatori molto improbabili, calciatori che hanno sfiorato appena il nostro calcio, allontanandosi senza quasi lasciare traccia nella memoria collettiva.