Milano, 25 luglio 2017 - 20:35

Eugene Chaplin: sulle orme
di papà Charlie con un’anima rock

Il figlio del genio comico il 28 luglio ospite a Salerno del «Premio Charlot»: «Papà per me era un grande uomo normale, mi ha insegnato l’umanità»

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Sono passati 40 anni dalla morte di uno degli attori fondamentali della storia del cinema. Uno a cui per far ridere non serviva nemmeno una parola. «Per me era un grande uomo normale, mi ha insegnato l’umanità» ricorda Eugene Chaplin, 63 anni, quinto degli 11 figli di Chaplin, ripensando alla lezione che gli ha lasciato quel papà che per tutti è sempre stato solo Charlot. Eugene sta per sbarcare in Italia, a Salerno, con buona parte dei suoi figli (ne ha sei, la più nota è la modella e attrice Kiera). Sarà lui a consegnare venerdì le statuette a forma di Chaplin al Premio Charlot, giunto alla 29esima edizione (tutte organizzate dal patron Claudio Tortora).

Un evento in cui si assegnano riconoscimenti per comici emergenti, ma anche artisti affermati nel campo di tv, fiction, cinema, radio, pubblicità. L’unica manifestazione al mondo dedicata a Charlot riconosciuta dalla famiglia. «Dai tempi di papà il mondo dei comedians è cambiato completamente. Più di tutto oggi manca il linguaggio universale, che è stato il vero segreto del successo trasversale di mio padre come attore». Eugene scava nella memoria per rintracciare il suo ricordo del genio: «Un perfezionista nella realizzazione dei film, curava ogni dettaglio, soprattutto le colonne sonore anche per scene di una manciata di secondi. Era quello che lui chiamava il commento musicale» dice Eugene.

Eugene Chaplin ha un’anima rock. E non è questione di indole o di vocazione. Ha messo le mani su tanta ottima musica tra gli anni Settanta e Ottanta. Nel suo studio, in Svizzera, dove lavorava come ingegnere del suono sono passati i Queen, i Rolling Stones e soprattutto David Bowie: «Per finire “Heroes”. È stato un grande amico, siamo rimasti molto legati negli anni». Eugene si racconta tra le stanze del museo che ha inaugurato un anno fa, dopo 15 anni di intoppi burocratici, proprio a Manoir de Ban vicino a Corsier-sur-Vevey, sulle rive del lago di Ginevra, dove specchiandosi ogni giorno nelle montagne l’attore ha vissuto per 25 anni.

E dove con la moglie si divertiva ogni giorno a pranzare sotto un albero diverso. Da quando nel ’53, dopo aver conquistato Hollywood, fu «invitato» a lasciare l’America accusato di essere comunista. «Pago di queste gioie, talvolta siedo sul terrazzo e al di là dell’ampio prato verde contemplo il lago lontano e i monti silenziosi, e in questo stato d’animo non penso che a godermi la loro magnifica serenità» scrisse di questo luogo, oggi museo, Chaplin. Ci sono voluti anni per restaurare la villa costruita nel 1840. «L’unica condizione per farlo, quando nel 2000 è nata l’idea, era mantenere intatto lo spirito della casa. Io su questo prato giocavo a pallone con papà. E portavo gli amici: molti non credevano che potesse essere quel signore anziano coi capelli bianchi il vero Charlot». Era il punto di ritrovo di tutta la nostra famiglia, un posto meraviglioso dove diventare grandi. Qui la gente può ancora respirare la sua voce» racconta.

Anche oggi da queste parti sono arrivati cinefili da tutto il mondo. Di ogni età. «Un bambino di sei anni mi ha guardato negli occhi con un’intensità assoluta. Mi ha detto: “Io sono il più grande fan di Charlot”. E gli ho creduto. Perché anche papà vedeva la vita come quella sognata dai bambini».

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